Qualche parola sul corso di Aikido a La Colle 21/9/2010
Ho incontrato Sandro 20 anni fa mentre si trovava in Svezia per lavoro. Abbiamo iniziato a parlare ed abbiamo scoperto di avere in comune la pratica dell’Aikido. Siamo diventati amici ed abbiamo trascorso un po’ di tempo insieme in Svezia. Ma la vita a volte interrompe le cose e non ci siamo tenuti in contatto. Tuttavia, l’ho incontrato su Facebook ed alla fine, mi sono trovata a Nizza dove Sandro ed altri aikidoka stavano frequentando un corso estivo.
Ho trascorso delle giornate meravigliose e la mia impressione più forte, è stata vedere come queste belle persone interagivano fra loro. Era un’atmosfera giocosa e calda e sono stata accolta con generosità. Penso che questa sia la migliore base per apprendere: divertirsi e sentirsi sempre benvenuti.
Ho avuto anche l’opportunità di frequentare alcune lezioni e di assistere ad altre lezioni ed agli esami. Ho sperimentato lo stesso calore sul tatami. Ognuno cercava di aiutare gli altri. C’era tuttavia una grande differenza nello stile.
Lo stile che pratico, e che mi è stato insegnato, è più definito e “duro”. Quando noi attacchiamo come uke, attacchiamo a fondo. La maggior parte degli aikidoka a Nizza accennavano i loro attacchi e trattenevano le loro energie. Questo rende difficile per il tori usare l’energia dell’attaccante e imparare come eseguire la tecnica nel modo giusto.
Diventa ancora più difficile quando l’uke è “gentile” e cade giù da solo. Il tori non ha mai l’opportunità di capire se eseguire la tecnica nel modo giusto o sbagliato. Può solo copiare, in un certo senso. Ho notato anche che alcuni sul tatami non abbassavano mai le anche, in altre parole non piegavano le ginocchia un po’, per muoversi più liberamente.
Per me l’aikido ha molto a che fare con I movimenti delle anche, perché il centro del tuo corpo è appena sotto l’ombelico. Invece loro tenevano le gambe dritte e piegavano il busto. Non hai un corretto equilibrio in questa posizione e il taisabaki diventa inutilmente difficile.
Un’altra grande differenza che mi ha fatto riflettere, era che molti aikidoka sembravano avere dei “pesci morti” al posto delle mani. Mi è stato insegnato di divaricare le dita e di focalizzarmi sull’energia dal mio centro, liberarla da lì e lasciarla uscire dalle mani e dalle dita. POW! E’ difficile ed io sto ancora cercando di sviluppare questa capacità. I sensei e gli altri sempai avevano sicuramente dei “pesci morti” nelle mani, eppure erano concentrati e stabili ed in pieno controllo delle loro energie. Ma noialtri non potevamo imparare niente, solo copiare. Dovevamo cercare la nostra strada e tenerci in contatto con il nostro centro e sviluppare il nostro modo di usare le energie.
Tuttavia, molto era simile allo stile che ho praticato con Tomita sensei. Mi sono sempre sentita viziata per avere avuto un così bravo sensei (e adesso sto praticando con un sensei svedese molto bravo che segue lo stile di Tomita sensei) ma al corso tutti i sensei mi sembravano di altissima qualità e spero di seguire altri corsi e di ampliare le mie abilità nell’aikido. Una cosa è sicura, alla fine. Verrò a Trieste per visitare Sandro e vedere i miei nuovi amici e divertirmi con loro e con l’Aikido.
--- Monica
Ho trascorso delle giornate meravigliose e la mia impressione più forte, è stata vedere come queste belle persone interagivano fra loro. Era un’atmosfera giocosa e calda e sono stata accolta con generosità. Penso che questa sia la migliore base per apprendere: divertirsi e sentirsi sempre benvenuti.
Ho avuto anche l’opportunità di frequentare alcune lezioni e di assistere ad altre lezioni ed agli esami. Ho sperimentato lo stesso calore sul tatami. Ognuno cercava di aiutare gli altri. C’era tuttavia una grande differenza nello stile.
Lo stile che pratico, e che mi è stato insegnato, è più definito e “duro”. Quando noi attacchiamo come uke, attacchiamo a fondo. La maggior parte degli aikidoka a Nizza accennavano i loro attacchi e trattenevano le loro energie. Questo rende difficile per il tori usare l’energia dell’attaccante e imparare come eseguire la tecnica nel modo giusto.
Diventa ancora più difficile quando l’uke è “gentile” e cade giù da solo. Il tori non ha mai l’opportunità di capire se eseguire la tecnica nel modo giusto o sbagliato. Può solo copiare, in un certo senso. Ho notato anche che alcuni sul tatami non abbassavano mai le anche, in altre parole non piegavano le ginocchia un po’, per muoversi più liberamente.
Per me l’aikido ha molto a che fare con I movimenti delle anche, perché il centro del tuo corpo è appena sotto l’ombelico. Invece loro tenevano le gambe dritte e piegavano il busto. Non hai un corretto equilibrio in questa posizione e il taisabaki diventa inutilmente difficile.
Un’altra grande differenza che mi ha fatto riflettere, era che molti aikidoka sembravano avere dei “pesci morti” al posto delle mani. Mi è stato insegnato di divaricare le dita e di focalizzarmi sull’energia dal mio centro, liberarla da lì e lasciarla uscire dalle mani e dalle dita. POW! E’ difficile ed io sto ancora cercando di sviluppare questa capacità. I sensei e gli altri sempai avevano sicuramente dei “pesci morti” nelle mani, eppure erano concentrati e stabili ed in pieno controllo delle loro energie. Ma noialtri non potevamo imparare niente, solo copiare. Dovevamo cercare la nostra strada e tenerci in contatto con il nostro centro e sviluppare il nostro modo di usare le energie.
Tuttavia, molto era simile allo stile che ho praticato con Tomita sensei. Mi sono sempre sentita viziata per avere avuto un così bravo sensei (e adesso sto praticando con un sensei svedese molto bravo che segue lo stile di Tomita sensei) ma al corso tutti i sensei mi sembravano di altissima qualità e spero di seguire altri corsi e di ampliare le mie abilità nell’aikido. Una cosa è sicura, alla fine. Verrò a Trieste per visitare Sandro e vedere i miei nuovi amici e divertirmi con loro e con l’Aikido.
--- Monica
Perché ho scelto di praticare l'Aikido 25/7/2010
Abbiamo chiesto ad Alessandro D'Orlando, psicologo e psicoterapeuta, un contributo al nostro blog; ecco alcuni suoi pensieri:
Parlare di Aikido è per me come parlare di un percorso di illuminazione, inteso come percorso di liberazione dall’Ego e dai suoi limiti: è quindi con estremo rispetto che cercavo la strada giusta per approcciare l’argomento senza rischiare troppo di cadere nella superficialità o nella supponenza, anche in ragione del mio limitato periodo di pratica (1 anno appena finito).
Ho scelto l’Aikido perché volevo lavorare sull’aggressività, la rabbia che sento dentro quando le cose non vanno come vorrei, quando non sono come dovrebbero essere secondo me: quando pratico, il Maestro mi scopre sempre dicendomi “Ecco il lupo!”.
10 anni fa smisi mio malgrado di praticare sport da combattimento: amavo l’adrenalina e il senso di forza che la competizione mi dava. Poi sono passato al Tai Chi, poi allo Yoga, al Rebirthing, allo studio di tecniche simili all’esicasmo, e per anni ho pensato a fare Aikido, che mi era stato presentato come una delle ultime discipline con ancora elementi capaci di lavorare anche sul piano spirituale.
Un saggio disse una volta che l’Ego si nutre di conflitto: in effetti ero stanco della rigidità del mio, di Ego, del mio bisogno di competere, di sentirmi forte, di vincere: ore e ore passate a affinare tecniche per sentirmi forte, ma per chi? Per che cosa?
Alla fine il mio nemico principale non sarebbe mai stato l’avversario su un ring, o il passante della strada che forse mi avrebbe minacciato: il nemico vero per me ero io che invece di crescere e espandere la mia capacità di percepire e muovermi con grazia nel mondo mi indurivo nel corpo e nell’anima.
L’Aikido era quindi la mia via per andare a recuperare quella grazia e quella elasticità che mi sono accorto che mi mancavano nella vita di tutti i giorni: stare davanti all’energia della rabbia e dell’aggressività senza inutili urli, senza inutili movimenti, senza inutili agitazioni, senza intenzioni malevole verso l’avversario (che infatti viene definito compagni di pratica), è una forma elevata di meditazione.
Freud diceva che Sesso e Aggressività sono le forze più potenti in un essere umano e la loro giustidicazione come la loro repressione per Krishnamurti distruggono: ciò che quindi ci permette di gestire queste energie è importante, fondamentale per una buona qualità di vita individuale e sociale.
Nell’Aikido è possibile lavorare appunto sulla rabbia perché c’è il contatto fisico e l’azione, ma lo studio dei movimenti è accompagnato da un attento studio dell’atteggiamento: perfetto per chi come me ha scelto di lavorare sulla mente e sull’anima ogni giorno per vincere la natura inferiore che costantemente preme per emergere libera e incontrollata.
Omraam Mikhaël Aïvanhov diceva che il male è più forte del bene per cui è inutile combatterlo: bisogna usarlo per il bene, come l’innesto usa il vigore del portainnesto per dare quei frutti e quei fiori che si desiderano. L’Aikido per me ha la stessa azione: parte dalla natura grezza per ottenere qualcosa di più raffinato.
Nella pratica si può puntare a fare molto male, ma non è importante questo come dal punto di vista spirituale vita e morte non sono che stati diversi dello stesso elemento, la coscienza. Come diceva il prof. Suzuki nel suo libretto sullo zen e l’arte della spada, la lotta diventa una espressione impersonale, non frutto dell’odio o della rabbia; anzi meglio, diventa una espressione trans-personale, in cui energie diverse si incontrano: perde chi perde per primo il contatto con questo gioco di energie. In termini psicologici mi verrebbe da dire che perde chi per primo si fa vincere dalla paura.
Gerald Jampolsky – ma potrei citare molti altri filosofi - diceva che nella vita ci sono due forze: quelle della paura e quelle dell’amore. Dove c’è una non c’è l’altra, o meglio, nella misura in cui non c’è una non c’è l’altra. Spesso usiamo la rabbia quando abbiamo paura: l’Aikido è quindi anche un modo per imparare ad andare oltre la rabbia, e poi ancora oltre, oltre la paura che la alimenta, e poi ancora oltre…
La migliore definizione dell’amore che abbia mai letto è quella di Krishnamurti: diceva che l’amore è attenzione. Più attenzione hai per qualcosa o per qualcuno più questo esprime e genera amore… In effetti, Aikido è anche estrema attenzione - e lo bene quando un severo richiamo mi ricorda che devo stare in quello che sto facendo e non viaggiare con la testa…
Ecco quindi perché pratico Aikido: per andare oltre, oltre me stesso, oltre la mia rabbia, oltre la mia paura, oltre la mia mancanza di attenzione per il mondo: il resto – avversari e tecniche -, sono importanti stampelle per accedere a porte che altrimenti ora non saprei come aprire…
(dott. Alessandro D'Orlando, http://www.laforzadellessenza.blogspot.com/)
Parlare di Aikido è per me come parlare di un percorso di illuminazione, inteso come percorso di liberazione dall’Ego e dai suoi limiti: è quindi con estremo rispetto che cercavo la strada giusta per approcciare l’argomento senza rischiare troppo di cadere nella superficialità o nella supponenza, anche in ragione del mio limitato periodo di pratica (1 anno appena finito).
Ho scelto l’Aikido perché volevo lavorare sull’aggressività, la rabbia che sento dentro quando le cose non vanno come vorrei, quando non sono come dovrebbero essere secondo me: quando pratico, il Maestro mi scopre sempre dicendomi “Ecco il lupo!”.
10 anni fa smisi mio malgrado di praticare sport da combattimento: amavo l’adrenalina e il senso di forza che la competizione mi dava. Poi sono passato al Tai Chi, poi allo Yoga, al Rebirthing, allo studio di tecniche simili all’esicasmo, e per anni ho pensato a fare Aikido, che mi era stato presentato come una delle ultime discipline con ancora elementi capaci di lavorare anche sul piano spirituale.
Un saggio disse una volta che l’Ego si nutre di conflitto: in effetti ero stanco della rigidità del mio, di Ego, del mio bisogno di competere, di sentirmi forte, di vincere: ore e ore passate a affinare tecniche per sentirmi forte, ma per chi? Per che cosa?
Alla fine il mio nemico principale non sarebbe mai stato l’avversario su un ring, o il passante della strada che forse mi avrebbe minacciato: il nemico vero per me ero io che invece di crescere e espandere la mia capacità di percepire e muovermi con grazia nel mondo mi indurivo nel corpo e nell’anima.
L’Aikido era quindi la mia via per andare a recuperare quella grazia e quella elasticità che mi sono accorto che mi mancavano nella vita di tutti i giorni: stare davanti all’energia della rabbia e dell’aggressività senza inutili urli, senza inutili movimenti, senza inutili agitazioni, senza intenzioni malevole verso l’avversario (che infatti viene definito compagni di pratica), è una forma elevata di meditazione.
Freud diceva che Sesso e Aggressività sono le forze più potenti in un essere umano e la loro giustidicazione come la loro repressione per Krishnamurti distruggono: ciò che quindi ci permette di gestire queste energie è importante, fondamentale per una buona qualità di vita individuale e sociale.
Nell’Aikido è possibile lavorare appunto sulla rabbia perché c’è il contatto fisico e l’azione, ma lo studio dei movimenti è accompagnato da un attento studio dell’atteggiamento: perfetto per chi come me ha scelto di lavorare sulla mente e sull’anima ogni giorno per vincere la natura inferiore che costantemente preme per emergere libera e incontrollata.
Omraam Mikhaël Aïvanhov diceva che il male è più forte del bene per cui è inutile combatterlo: bisogna usarlo per il bene, come l’innesto usa il vigore del portainnesto per dare quei frutti e quei fiori che si desiderano. L’Aikido per me ha la stessa azione: parte dalla natura grezza per ottenere qualcosa di più raffinato.
Nella pratica si può puntare a fare molto male, ma non è importante questo come dal punto di vista spirituale vita e morte non sono che stati diversi dello stesso elemento, la coscienza. Come diceva il prof. Suzuki nel suo libretto sullo zen e l’arte della spada, la lotta diventa una espressione impersonale, non frutto dell’odio o della rabbia; anzi meglio, diventa una espressione trans-personale, in cui energie diverse si incontrano: perde chi perde per primo il contatto con questo gioco di energie. In termini psicologici mi verrebbe da dire che perde chi per primo si fa vincere dalla paura.
Gerald Jampolsky – ma potrei citare molti altri filosofi - diceva che nella vita ci sono due forze: quelle della paura e quelle dell’amore. Dove c’è una non c’è l’altra, o meglio, nella misura in cui non c’è una non c’è l’altra. Spesso usiamo la rabbia quando abbiamo paura: l’Aikido è quindi anche un modo per imparare ad andare oltre la rabbia, e poi ancora oltre, oltre la paura che la alimenta, e poi ancora oltre…
La migliore definizione dell’amore che abbia mai letto è quella di Krishnamurti: diceva che l’amore è attenzione. Più attenzione hai per qualcosa o per qualcuno più questo esprime e genera amore… In effetti, Aikido è anche estrema attenzione - e lo bene quando un severo richiamo mi ricorda che devo stare in quello che sto facendo e non viaggiare con la testa…
Ecco quindi perché pratico Aikido: per andare oltre, oltre me stesso, oltre la mia rabbia, oltre la mia paura, oltre la mia mancanza di attenzione per il mondo: il resto – avversari e tecniche -, sono importanti stampelle per accedere a porte che altrimenti ora non saprei come aprire…
(dott. Alessandro D'Orlando, http://www.laforzadellessenza.blogspot.com/)
Intervista al M° Alessandro Chiancone 20/5/2010
(Pubblicata sul sito 100% Martial Arts)
"Buon giorno M° Alessandro Chiancone, grazie per averci concesso una breve intervista. Dove nasce la sua passione per le arti marziali e cosa l’ha spinta a dedicarsi all’ Aikido?"
Per me l'Aikido è stato il punto naturale d'arrivo, dopo una lunga pratica di Judo (dall’età di 5 ai 32 anni) interrotta dagli immancabili ed innumerevoli infortuni dell'attività agonistica e seguita da un periodo di "riconquista del corpo", attraverso il ThaiChiChuan e il ChiQong. E’ stata la mia insegnante di TaiChi, dopo una pratica di 3 anni, a consigliarmi di iniziare a studiare Aikido, in un dojo a Barcellona. Poi l’incontro con il maestro Stephane Benedetti a Palma de Mallorca, nel 1987 ed un anno di studio in Francia, come “uchi deshi” ovvero allievo interno, con Stephane e Nobuyoshi Tamura…
"La sua più grande soddisfazione legata alle arti marziali?"
Avere nel mio dojo degli allievi di 65 anni che vengono a praticare per la prima volta, e che continuano a farlo. E’ facile correre a 300 km/h con una Ferrari nuova di zecca, ma è un’ altra cosa affrontare un rally con una macchina d'epoca.
"Come è cambiato o come si è evoluto il suo modo di praticare arti marziali nel tempo?"
Dicono che il tempo è galantuomo e che con gli anni tutto si aggiusta.Mai cosa più vera e saggia fu scritta, soprattutto per ciò che riguarda la pratica del Budo.
Io mi reputo fortunato. Sono arrivato a ciò che considero l'essenza del budo, dopo un lungo ed intenso percorso che mi ha permesso di togliermi tutti gli “sfizi giovanili” strada facendo.
Ho cercato, e fortunatamente ho trovato, una fonte da cui imparare. Una fonte incontaminata che deriva il più direttamente possibile da Morihei Ueshiba, O-Sensei, il fondatore dell’Aikido. Una fonte che mi ha insegnato la pigrizia intelligente e costruttiva, assieme a una paura altrettanto intelligente e costruttiva. Questi concetti non possono essere compresi facilmente in giovane età.
Quindi, riassumendo, direi che il mio Aikido con il tempo è diventato Pigro e Pauroso.
"A chi consiglierebbe la pratica delle arti marziali?"
A tutti coloro che non hanno paura della depressione da insuccesso ed a tutti coloro che hanno problemi nel socializzare con il prossimo.
"Chi è il suo punto di riferimento?"
Io ho studiato e continuo a farlo con Nobuyoshi Tamura, Yoshimitsu Yamada e Stephane Benedetti. Sono tre grandi interpreti nel mondo dell'Aikido. Non li copio, non ne sono capace, li guardo ed a volte non vedo, ma il solo fatto di stare loro vicino mi regala qualcosa di speciale. Ricercare quel “qualcosa”, fa sì che questo gioco non abbia mai fine. Fantastico!!!
"In un caso reale, secondo lei, l’Aikido è efficace e perché?"
L'Aikido studia la strategia del movimento. Quindi, nel caso qualcuno ci attacchi… tenkan, ovvero “girare su se stessi”… e via di corsa. Meglio se indossando un paio di Nike, o un’altra buona marca di scarpe da running. E ancora meglio se prima si è smesso di fumare.
L’unica arte marziale efficace si chiama prevenzione, di qualsiasi situazione anche vagamente o potenzialmente pericolosa. L’Aikido può insegnare questo concetto.
"Ha un consiglio da dare a chi pratica Aikido o in generale arti marziali?"
All'inizio della pratica, non cercare di capire, ma semplicemente fare. Un po’ come buttarsi in piscina per bagnarsi, non per nuotare. Poi con il tempo, a forza di ritrovarsi nell’acqua, uno si accorge che può essere utile saper galleggiare. E visto che galleggiare è possibile, perché non provare a nuotare? Se sai nuotare, allora sì che dà soddisfazione fare il “morto”…
Una cosa è veramente importante: scegliere attentamente il dojo, la scuola, il riferimento da seguire. Non lasciarsi trasportare dalle mode o dalla facile comodità.
L'Aikido non é un corso trimestrale di “self-qualsiasicosa”.
L'Aikido è per tutta la vita e per qualcuno, è la vita.