Etichetta dell’Aikido.                                                                                                                   26/6/2010

In Giappone la tradizione prevede che le persone si salutino con degli inchini, e questo avviene molto più di frequente di quanto in Occidente non avvenga quando ci si incontra stringendosi la mano. L’inchino non ha un significato religioso, ma piuttosto è un gesto di rispetto o gratitudine.

Quando ci avviciniamo all’entrata del dojo, ci togliamo le scarpe. La tradizione giapponese prevede che le scarpe vengano lasciate al di fuori delle abitazioni così da non sporcare l’interno. Allo stesso modo, quando lasciamo le scarpe fuori dal dojo, lasciamo simbolicamente i nostri problemi all’esterno almeno per la durata della lezione.

Quando entriamo nel dojo, ci inchiniamo rivolgendoci al kamiza, con un’immagine di O Sensei Morihei Ueshiba: questo saluto è un gesto di rispetto nei confronti del fondatore dell’Aikido. Anche quando saliamo o scendiamo dal tatami, salutiamo il kamiza.

Quando comincia la lezione, tutti gli allievi sono seduti in fila nella posizione di seiza con il maestro alla loro sinistra. Il maestro si inchina verso il kamiza, raggiunge il centro del dojo, e saluta nuovamente la figura di  O Sensei insieme a tutti gli allievi. La lezione ha inizio quando il maestro si gira e noi rispondiamo al suo saluto.

Quando il maestro finisce di dimostrare una tecnica con l’aiuto di un uke, lo salutiamo con un inchino e chiediamo ad un altro allievo di praticare con noi dicendo “onegai shimasu”: saresti cosi gentile (di allenarti con me?).

Incoraggiamo gli allievi più giovani a porgere questa domanda agli allievi più esperti. I motivi sono due: si impara di più quando si pratica con allievi più esperti; si corrono meno rischi praticando con loro perché sanno come assecondare uke e portare tecniche più precise.

Durante il keiko, se il maestro spiega una tecnica a due allievi, gli altri studenti si siedono in seiza in segno di rispetto osservando ed ascoltando la spiegazione. Quando il maestro finisce, tutti coloro che si sono seduti ad ascoltare ringraziano il maestro dicendo “domo arigato gozaimasu”. Quando il maestro batte le mani e dice “yamé” (= fermi) ci inchiniamo di fronte al nostro compagno d’allenamento e lo ringraziamo.

Nel caso abbiamo bisogno di lasciare il tatami per qualche ragione, dobbiamo avvisare il maestro immediatamente.

Se abbiamo bisogno di mettere a posto la cintura o il gi, dobbiamo assicurarci che il maestro abbia finito di parlare, quindi ci giriamo dando la schiena al kamiza.

Rei, il saluto.                                                                                                                                 9/7/2010

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«Saluto» è il primo significato di Rei. È un atto che viene eseguito da due posizioni possibili, in piedi (Ritsu Rei) e seduti in posizione di Seiza (Za Rei). Per un saluto corretto è cruciale assumere una posizione iniziale corretta; nonostante l’evidenza, non si può fare a meno di notare che si tratta di una indicazione frequentemente disattesa, e capita spesso di vedere gesti confusi, ineleganti e «vuoti» proprio perchè non ci si è dato il tempo e l’opportunità di fermarsi e portare l’attenzione alla postura (Shisei). 

In piedi ci si dispone in Shizentai («corpo naturale»), ossia naturalmente eretti, in posizione frontale (evitiamo di inchinarci frettolosamente in posizione di guardia, o comunque di profilo), le gambe aperte al più della larghezza delle spalle e le braccia rilassate sui fianchi o, meglio, con le mani all’attaccatura delle cosce, sui Iati del ventre.

 In Seiza, le ginocchia scartate di due o tre pugni, le mani poggiate con le dita unite all’attaccatura delle cosce, con i gomiti chiusi. In entrambi i casi manteniamo la schiena diritta, le spalle rilassate e lo sguardo orizzontale, rivolto agli occhi di chi riceve il saluto.

Da qui, si piega il busto in avanti senza perdere l’allineamento della colonna vertebrale con la testa, espirando.

Ci sono, come sempre, tre livelli diversi di profondità: tra compagni d’allenamento basta un lieve inchino, mai semplicemente accennato; verso un istruttore un inchino più profondo, comunque più di quello eseguito dall’altro. In questi due casi continuiamo a guardare negli occhi il partner, mentre se il saluto è rivolto al Kamiza o ad un personaggio degno di particolare rispetto, l’ inchino è ancora più profondo e prolungato, lo sguardo abbandona l’oggetto del saluto per rivolgersi a terra, e se siamo in piedi le mani si portano verso le ginocchia.

 Se siamo in Seiza, il modo marziale di salutare prevede, nei primi due casi, di portare a terra prima la mano sinistra, poi la destra, formando un triangolo, quindi di richiamarle, prima la destra, poi la sinistra; si tratta di un ricordo di quando l’uomo d’arme portava con sé la spada corta anche seduto, e manteneva il più a lungo possibile la possibilità di farne uso. Un tale saluto diventa scorretto se applicato al Kamiza: in questa evenienza le mani poggiano sul Tatami insieme, ed insieme risalgono, con significato evidente.

 (testo di Malcolm Tiki Shewan)

 Bokken ed etichetta                                                                                                                    20/5/2010

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Il Reishiki (“etichetta” e “cortesia”) dell’Alkiken fa riferimento, oltre che a principi del tutto generali, all’arma considerata come Shinken (spada vera), ossia al Katana. Il Bokken (spada di legno) infatti è da considerarsi un sostituto della famosa lama dei Bushi in tutto e per tutto: questo aiuta il praticante a «sentire» l’oggetto come un’arma, a tenere nel dovuto rispetto le sue caratteristiche di robustezza, maneggevolezza e pericolosità tutt’altro che trascurabili, contribuendo a stabilire un’atmosfera di grande controllo e vigilanza. Essendo «vissuto» come una vera spada, a seconda del contesto, sarà ora virtualmente inguainata nel suo fodero, ora snudata e pronta all’uso.

Prendiamo come esempio del primo caso la posizione di riposo in piedi, detta Sageto, «spada abbassata»: questa non è altro che la posizione Shizentai, eretti in posizione frontale, con le gambe unite o leggermente aperte, le braccia rilassate sui fianchi ed il Ken nella mano sinistra, il filo verso l’alto e la punta in basso. In Sageto si può camminare, seguire una spiegazione, attendere il proprio turno di pratica, disporsi al saluto all’inizio e alla fine della stessa. Sageto è una posizione «pacifica», dove la spada non è pronta all’uso, e comunica un senso di fiducia che nulla toglie alla «presenza». Il saluto tra praticanti si esegue semplicemente flettendo il busto come nel normale Ritsu Rei in posizione Sageto. Da questa, semplicemente portando il Bokken all’altezza della vita, come se fosse infilato nell’Obi, si passa a Taito, «spada alla cintura».

Taito è una posizione di prontezza, che tradisce un’attitudine vigile e combattiva: non si può definire propriamente una guardia, ma è noto come a partire da essa si possa sguainare e colpire in un solo movimento, secondo l’arte dello lai. Normalmente si assume questa posizione dopo il saluto, prima di sguainare e assumere una posizione di guardia (Kamae). Sebbene la differenza tra Sageto e Taito sia apparentemente minima, il segnale è chiaro.

Vediamo ora il Seiza con la spada: la posizione più pacifica e cortese consiste nei sedere con il Ken appoggiato al suolo sulla destra, il filo rivolto verso di sè e la punta indietro, con la Tsuba all’altezza delle ginocchia; se vogliamo, è la posizione corrispondente a Sageto. Il suo opposto, con la spada posta a sinistra, il filo verso l’esterno ed il Kashira (codolo) all’altezza delle ginocchia, esprime evidentemente un’attitudine «diffidente» e comunque pronta al combattimento; anche qui, per il saluto, l’attesa, l’osservazione sceglieremo la prima posizione.

Come si vede da questi semplici esempi, è della massima importanza la posizione di filo e punta relativamente all’ambiente: ad esempio, per cedere l’arma si porge orizzontalmente con l’impugnatura a sinistra ed il taglio verso di sè, e la si riceve con un gesto altrettanto rispettoso e misurato. Analogamente, un saluto al Kamiza è possibile sostenendo la spada all’altezza degli occhi con entrambe le mani, nel modo appena visto, quindi si flette il busto espirando senza muovere l’arma. La forma corrispondente in Seiza consiste nel posare l’arma davanti a sè, sempre col taglio verso di sè e la punta a destra, prima di eseguire il saluto nella maniera abituale.

Alcune differenze possono riscontrarsi quando si prende come riferimento per «ambiente» non i propri compagni d’allenamento, bensì il Kamiza: in questo caso, ad esempio, i praticanti che siedono a destra dell’altare o della foto del Fondatore che occupano il centro del Kamiza, tengono il Bokken sulla destra (con il filo verso destra), quelli che siedono a sinistra lo pongono a sinistra (con il filo verso sinistra). Ancora, vi sono scuole che prevedono il cerimoniale del saluto all’arma stessa. Quale che sia il metodo utilizzato, lo sforzo consisterà nel capirne il contenuto essenziale e nell’adattarvisi al meglio, a beneficio proprio e dei compagni d’allenamento.

(testo tratto da “Reishiki. Qualche indicazione sui gesti dell’etichetta” di Malcom Tiki Shewan)

 Seiza, quando sediamo…….. semplicemente sediamo                                                                7/1/2011

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Testo di Kisshomaru Ueshiba (1922-1999)

«Sedere in quiete» usando la postura seiza è un modo per superare le paure della vita e la sottostante paura della morte. È un modo eccellente per regolare le funzioni del corpo. Può portare la mente vicino al mondo «come esso è», rispetto al suo abituale stare nelle cose «come dovrebbero essere».

In altre parole, seiza è un metodo per uscire dalle illusioni della vita di ogni giorno.

Quando sediamo, il ciclo senza fine di pensieri che sono così paralizzanti per la salute mentale è interrotto e facciamo venire fuori la chiara freschezza del vivere semplicemente nel mondo.

Per sedere in seiza piegate le gambe e portate il ginocchio sinistro sul pavimento e quello destro a circa due pugni dal sinistro.

Ora mettete il dorso dei piedi sul pavimento in modo tale che i due alluci si tocchino.

Abbassate i glutei fino a che tocchino i talloni.

Raddrizzatevi e lasciate che il peso si centri in qualche posto fra i piedi e le ginocchia.

La testa è bilanciata sulla colonna vertebrale, con le orecchie in asse con le spalle e il naso in linea con l’ombelico; ponete il mento in dentro e stirate la nuca, come se qualcuno stia sollevando il nostro collo per stirare la schiena.

Per trovare la linea di equilibrio potete ruotare in circolo sulle anche, riducendo lentamente l’oscillazione finché non si rimane in una posizione stabile.

Ciò è fondamentale per prevenire crampi o la fatica mentre siamo seduti.

Un altro modo per trovare la giusta postura è di immaginare una stringa attaccata alla cima della testa e che entra nel nostro corpo fino a terminare con un peso all’altezza del tanden.

Se si curva la testa in avanti o si piega troppo il collo la stringa tocca il guscio del corpo; se invece ci si inclina troppo in avanti, il peso tocca la cintura pelvica. Ponete il peso nella parte anteriore dell’hara.

Rilassate le spalle e lasciate che le braccia cadano naturalmente.

La mano destra è posta, palmo in su, sul grembo con il bordo del mignolo che tocca leggermente il basso ventre.

La mano sinistra è posta sulla destra, anch’essa con il palmo in su. Le dita devono stare unite senza tensione.

Ponete la punta dei pollici a contatto in modo tale che si tocchino senza che si facciano pressione l’un l’altro.

Le dita ed i pollici devono formare un ovale intorno ad un punto posto 5 o 6 centimetri sotto l’ombelico, punto chiamato tanden o seika tanden e che corrisponde al centro dell’equilibrio.

La mano sinistra sulla destra rappresenta la calma («sei» o «in» in giappo- nese) che copre gli aspetti attivi («do» o «yo»).

I pollici unificano i due aspetti. Il tanden è visto come il centro dell’essere intorno a cui l’hara è organizzato. Il centro è il punto da cui la vostra vita è vissuta.

Varianti di questa forma sono spesso usate, ma questo è il metodo più bilanciato e rilassante di sedersi.

Senza abbassare in avanti la testa ponete lo sguardo in un punto a circa un metro davanti a voi. Si possono chiudere a metà gli occhi per ridurre i disturbi visivi senza correre il rischio di cadere addormentati.

Ponete la lingua a contatto con il palato, ed i denti in maniera tale che si tocchino leggermente.

Togliete l’aria dallo spazio fra lingua e palato. Ciò inibirà la produzione della saliva ed il bisogno di ingoiarla.

Un aspetto importante della pratica è la respirazione. Gli antichi taoisti credevano che il respiro coincidesse con la vita stessa e che ogni persona ne disponesse in una certa quantità prestabilita. Il respiro profondo e lento era visto quindi come un prolungamento della vita.

Inspirate semplicemente e con calma attraverso il naso, usando il diaframma.

La pancia dovrebbe espandersi in avanti e il torace dovrebbe a sua volta
 aprirsi senza intervento muscolare.

Buttate fuori dalla parte superiore del corpo tutte le tensioni e gli sforzi muscolari. Le spalle non devono essere tenute contratte, ma non lasciatele andare giù: semplicemente fate fare alla gravità il suo normale lavoro.

Respirate finché i polmoni siano pieni senza sforzo e lasciate che sia il respiro a dettare il cambio nell’espirazione. Non trattenetelo, e non fate nulla di speciale, semplicemente cominciate a espirare.

Questa deve sempre essere più gentile dell’inspirazione. Inoltre non ci dovrebbero essere rumori o sibili, ma solo una soffice espirazione finché la pancia non si svuota naturalmente.

Lasciate che l’espirazione continui finché ne sentite il bisogno, poi ricomin- ciate con l’inspirazione. Quando espirate non lasciate che la pancia perda tensione, ma mantenetela in tono, senza comunque contrarre i muscoli. Non forzate mai il respiro.

Con la pratica continua il ritmo rallenterà forse fino a due respiri al minuto, ma non provate a raggiungere nessun obbiettivo, semplicemente respirate.

Seguendo il vostro respiro, contate sia le inspirazioni che le espirazioni, e, più tardi, solo le espirazioni. Contate da uno a dieci e poi ripartite. Se il conto è perso ripartite da uno e non provate a ricordare l’ultimo numero, non è importante. Arrivare a dieci non è un obbiettivo, ma solo un processo.

Ogni pensiero che sorge deve essere notato ma ignorato. Occorre solo guardarlo e lasciarlo andare; non inseguitelo e non seguite nessuna linea di ragionamento.

Ritornate al conteggio. Tutti i pensieri, quando sediamo, hanno lo stesso valore, cioè nessuno. Quando sediamo… sediamo.

La stessa cosa va fatta per le luci, le allucinazioni, il panico, la paura. Quando sediamo… sediamo.

Quando i pensieri non correranno più così veloci e così furiosamente allo- ra potrete contare e sedere correttamente. Se i pensieri vi distraggono, contate ancora.

Eventualmente, provate a rimanere in seiza, a per trenta minuti la mattina presto e la sera.

Se le gambe cominciano ad addormentarsi alzatevi sulle ginocchia o, alternativamente, arrotolate una coperta e ponetela fra i polpacci per alzare i fianchi dai talloni. Dovete aspettarvi un po’ di dolore, ma non fate diventare un test di forza di volontà lo stare seduti per più tempo possibile.

Idealmente dovremmo sedere in seiza in una stanza tranquilla con una illu- minazione debole, con poche distrazioni visive o di altro tipo. La musica non è appropriata poiché l’idea non è quella di distrarsi.

Quando la seduta è finita, o quando le gambe devono essere mosse, inchinatevi e ponete la fronte sul pavimento, con i fianchi sempre sui talloni. Ponete le mani con i palmi in su al lato della testa, e sollevatele per pochi centimetri.

Ciò simbolizza l’essere aperti e accettare ogni cosa che il mondo ci può offrire. Respirate in questa posizione per breve tempo.

Esiste una vasta letteratura sulla meditazione e ci sono molti che vogliono insegnare i metodi segreti per guarire l’animo ad un certo prezzo. Tutto ciò che è necessario è un posto dove essere soli (o in gruppo) e qualche respiro.

Semplicemente… sedete.