Immaginiamo il corpo dell’uomo vitruviano, un qualsiasi testo di anatomia o fisioterapia o semplicemente guardiamoci allo specchio, è impossibile non notare come tutte le nostre articolazioni siano collegate tra loro, per via muscolare, tendinea o nervosa.
Con il corpo eretto, immaginando di avere la schiena appoggiata su di un piano, solleviamo un braccio lasciando cadere la punta delle dita verso terra e creando un angolo retto tra spalla e busto e contemporaneamente tra avambraccio e gomito, portando quindi il gomito all’altezza della spalla.
Si è chiaramente in grado di sentire una connessione, un allineamento tra la punta del gomito e la settima vertebra cervicale (C7 o vertebra prominens, quella che “spunta”). Questo legame si può utilizzare per governare la colonna vertebrale e quindi l’intero asse umano.
Come sfruttare questo legame senza disturbarlo e senza forzarlo?
Un enorme quantitativo di variabili entra in campo, ne cito solo alcune:
Distanza, direzione, rilassamento, aggressività, qualità di contatto, tempo di contatto, stato della respirazione, intenzione…veramente troppe per essere elencate e, soprattutto, analizzate.
Potremmo proseguire facendo notare che se l’ipotetico Uke “chiude” la distanza e si avvicina, Ikkyo si trasforma in Sankyo, se invece “allunga” otteniamo Nikyo. A questo punto non è più possibile concepire Ikkyo come una semplice “catena di congiunzioni” ma più come l’elemento basale di tutta la pratica.
Fino a questo momento si sarebbe infatti potuto pensare a Ikkyo come il principio che viene studiato e applicato inizialmente per “capire” le potenzialità della pratica, ma questa visione è meccanica e riduttiva.
In questo si rivela l’universalità del termine kyo come principio e non come tecnica, un termine difficilmente analizzabile se non praticando sul tatami, osservando e provando le infinite combinazioni di elementi che si generano tra Tori e Uke.
Gabriele Zuttion (MuTokuKan Dojo)