Esistono molti tipi di Keiko, e in particolare nel Keiko ordinario che si esegue nel Dojo. Una distinzione invocata tradizionalmente riguarda la progressione della pratica attraverso gli stadi detti Kotai, Jutai, Ekitai (o Ryutai), Kitai. Questi termini si riferiscono ai diversi stati di aggregazione della materia, rispettivamente solido, denso, liquido (o fluido) e aeriforme, e corrispondono a modalità di esecuzione delle tecniche via via più raffinate ed efficaci. Saito Shihan si riferisce a queste modalità come esercizi “solidi”, “flessibili”, “fluenti” e “Ki”. Una stessa tecnica, ad esempio Katatedori Ikkyo Omotewaza, può essere studiata secondo il metodo “solido”, “flessibile”, “fluente” e “Ki” senza perdere di identità, sebbene possano essere necessari diversi tipi di Tai Sabaki, più o meno adatti ad una situazione o ad un’altra.
L’allenamento in Kotai si dice Go no Geiko e rappresenta il primo livello di lavoro sulle tecniche, solido e rigoroso. I movimenti partono da una posizione iniziale statica di Tori ed Uke, si lascia che l’avversario afferri saldamente, quindi si assume l’iniziativa eseguendo il Tai Sabaki iniziale e guidando la reazione di Uke fino ad una sicura conclusione. «In questo modo – dice Saito Shihan – ci si pone nella situazione più svantaggiosa, concedendo un largo margine all’iniziativa del partner […]. Partendo da qui bisogna liberarsi dalla presa del partner senza resistere e guidarlo nella propria sfera d’influenza e assumerne il controllo”. L’immagine di questo metodo di lavoro può essere quella di un cristallo minerale, immutabile e perfetto, ed il simbolo grafico quello del quadrato (Shikaku).
Il Go no Geiko è la modalità ideale per la trasmissione dei Kata nel Budo; i movimenti sono estremamente chiari e distinti, ed il praticante può cominciare per gradi la sua istruzione concentrandosi sulla base. Nel Go no Geiko lo scopo è di forgiare un corpo vigoroso, agendo sulle ossa, le articolazioni, i muscoli con un lavoro intenso e “senza sconti”, in cui è fondamentale comprendere l’importanza degli Atemi. In questo caso infatti gli Atemi permettono di difendersi mentre ci si sposta, impegnando con la parata le mani del partner. Il Maestro Saito avvisa il praticante che su tale metodo di allenamento deve essere concentrata l’attenzione fino al livello di III Dan. Si tratta di costruire fondamenta robuste per il lavoro successivo.
Ju no Geiko è la pratica del Jutai, dove il carattere Ju è lo stesso che in Judo, e significa “cedevole”, “adattabile”, nel senso di un corpo denso, ma non cristallino, capace di cambiare forma. Una buona immagine è quella tratta dal regno vegetale, di un albero che si flette sotto la forza del vento, senza spezzarsi. Si tratta di rendere più fluida e dinamica l’applicazione di ciò che si è imparato nel Go no Geiko, senza perdere in intensità e vigore. Nel Ju no Geiko dobbiamo iniziare il movimento mentre l’avversario ci afferra, spesso usando lo stesso Tai Sabaki applicato precedentemente. Un movimento ritardato può significare che l’attacco ha raggiunto il suo fine, così come uno anticipato può mettere Uke sulla difensiva, oppure spingerlo a seguire il suo bersaglio senza essere nel frattempo squilibrato, mandando anche così a buon fine l’azione offensiva.
Jutai è uno stato di transizione, in cui si approfondisce la nozione di Ma Ai (distanza), prima “statica” ed ora sempre più “dinamica”, e si affaccia la nozione di Hyoshi (ritmo). Il Ju no Geiko rappresenta la porta per il Ki no Nagare, ossia nella “corrente del Ki” che unisce i praticanti nel tempo e nello spazio attraverso il Ki, l’energia sottile della vita. Lo stadio successivo è dato dal Ryu no Geiko.
La pratica fluente, in Ekitai (o Ryutai), chiede al praticante di muoversi secondo l’immagine dell’acqua, armonizzandosi con il partner ancora prima che l’attacco sia completato, con movimenti fluidi e dinamici che lo guidino nello squilibrio senza necessità di forzare. Il simbolo associato è il cerchio (Maru). In questo tipo di allenamento è fondamentale estendere la propria percezione al di là dei limiti esteriori del corpo, concependo il proprio Seika Tanden al centro di una sfera di energia sottile, sensibile al contatto ed alla penetrazione dell’attaccante. Provvisti di questa sensibilità “animale” lo si attira all’interno della sfera dirigendolo alla sua periferia, in continua rotazione rispetto al centro rappresentato dal Tanden. Allo scopo possono servire gli Atemi, che divengono sempre più un cardine dell’azione di squilibrio.
Nonostante l’intensità del lavoro non sia diminuita, ma anzi, idealmente accresciuta, l’esecuzione del Ryu no Geiko si fonda molto più sul controllo del Kokyu (respirazione) che non sullo sforzo fisico. Spesso questo livello di pratica è associato al termine Kokyu Nage, preso in senso Iato, ossia di «proiezioni attraverso il (potere del) respiro», nozione fondamentale che si studia fin dall’inizio della pratica con i vari Kokyu Ryoku no rosei Ho (metodi per lo sviluppo della forza del respiro). “Questa forza – scrive Tamura Shihan – accumulata nel Seika Tanden che riempie tutte le parti del corpo, simile ad acqua sorgiva inesauribile, questa forza che emana da un corpo ed una mente sempre calmi, sereni, distesi, pronti a rispondere ad ogni necessità ed in ogni momento nella direzione voluta, questa forza si chiama Kokyu Ryoku”.
Armati del Kokyu Ryoku, siamo pronti (accademicamente!) per affrontare la più alta espressione di Ki no Nagare: il Ki no Geiko, la pratica del Ki. Nel Kitai è il Ki stesso a fungere da legame tra Tori ed Uke, prima che l’attacco si manifesti. I praticanti sono uniti fin dal momento in cui “si offre un’opportunità di attacco … e non c’è più nessuno”. Ki no Geiko è la perfezione del cammino fin qui seguito: è difficile trovare una definizione chiara, trattandosi di un esercizio di Ki Awase (armonizzazione dei Ki) e di Ki Musubi (annodare i Ki), anche indicato col termine Aiki Nage. Saito Shihan non esita a definirlo “un esercizio esoterico dimostrato dal Fondatore”, da non scimmiottare se non si vuole perdere la Via. Il Kitai non può che essere il risultato di un lavoro incessante, che conduce al punto in cui, idealmente, non è più necessario il contatto con l’avversario per guidarne il Ki nel movimento di armonizzazione. Al contrario di quel che può apparire al profano, “l’Aikido, – afferma Saito Shihan – nella sua vera forma Ki , è una fiera arte che penetra direttamente attraverso il centro d’opposizione”.
In altre parole il fondamento del Kitai non è altro che il principio essenziale dell’Irimi ed il segno connesso può essere ritrovato in quello del triangolo (Sankaku) in cui si risolve ogni dualità attraverso il terzo vertice: ”se provate il sentimento di avviluppare l’avversario, di essere una sola cosa con lui, sarà lui stesso a venire al vostro interno. È questo l’Irimi dell’Aikido.”