La titubanza iniziale dovuta alla novità della situazione è stata subito accantonata dal coinvolgimento nella pratica. Nelle quasi sette ore di aikido si sono susseguite molteplici esperienze, a partire dalla respirazione introduttiva del Sensei, dal modo in cui l’ha fatta.
Poi l’incontro con vari compagni di pratica, di provenienza e livello diversi: un’occasione per valutare la propria scuola e la propria preparazione. Gli stimoli e le indicazioni non sono mancati e, a completamento di due giornate molto dense, i momenti trascorsi in compagnia degli amici dei nostri dojo, con cui c’è stato uno scambio altrettanto interessante di opinioni.
C’è una cosa che più di altre rimane di questo fine settimana: l’intensità della pratica che Yamada Sensei porta. Limitarsi a valutarne gli effetti nella quantità di acido lattico accumulato è evidentemente riduttivo.
C’è dell’altro. L’impegno continuo nel tentativo di superare i propri ostacoli fisici e psichici, con il sostegno di tutti i praticanti sul tatami (circa centoquaranta!) favorisce l’opportunità per procedere nel proprio percorso personale.
Non è una novità che un particolare tipo di sforzo possa apportare un vero cambiamento, ciò che mi preme sottolineare è appunto la particolarità dello sforzo, che ognuno deve scoprire da sé. Altrimenti la pratica si trasforma in un mero esercizio fisico esasperato e ottuso, che rischia di danneggiare se stessi e gli altri, e che poco ha a che fare con il ‘do’ dell’aikido.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato in queste giornate e un grazie particolare al mio corpo che, nonostante i piccoli acciacchi e l’età sicuramente matura, si è prestato generosamente all’esperienza.
Mauro