In piedi ci si dispone in Shizentai («corpo naturale»), ossia naturalmente eretti, in posizione frontale (evitiamo di inchinarci frettolosamente in posizione di guardia, o comunque di profilo), le gambe aperte al più della larghezza delle spalle e le braccia rilassate sui fianchi o, meglio, con le mani all’attaccatura delle cosce, sui Iati del ventre.
In Seiza, le ginocchia scartate di due o tre pugni, le mani poggiate con le dita unite all’attaccatura delle cosce, con i gomiti chiusi. In entrambi i casi manteniamo la schiena diritta, le spalle rilassate e lo sguardo orizzontale, rivolto agli occhi di chi riceve il saluto.
Da qui, si piega il busto in avanti senza perdere l’allineamento della colonna vertebrale con la testa, espirando.
Ci sono, come sempre, tre livelli diversi di profondità: tra compagni d’allenamento basta un lieve inchino, mai semplicemente accennato; verso un istruttore un inchino più profondo, comunque più di quello eseguito dall’altro. In questi due casi continuiamo a guardare negli occhi il partner, mentre se il saluto è rivolto al Kamiza o ad un personaggio degno di particolare rispetto, l’ inchino è ancora più profondo e prolungato, lo sguardo abbandona l’oggetto del saluto per rivolgersi a terra, e se siamo in piedi le mani si portano verso le ginocchia.
Se siamo in Seiza, il modo marziale di salutare prevede, nei primi due casi, di portare a terra prima la mano sinistra, poi la destra, formando un triangolo, quindi di richiamarle, prima la destra, poi la sinistra; si tratta di un ricordo di quando l’uomo d’arme portava con sé la spada corta anche seduto, e manteneva il più a lungo possibile la possibilità di farne uso. Un tale saluto diventa scorretto se applicato al Kamiza: in questa evenienza le mani poggiano sul Tatami insieme, ed insieme risalgono, con significato evidente.
(testo di Malcolm Tiki Shewan)